24 OTTOBRE 2019 -WORLD POLIO DAY- Rotary Vicenza

La poliomielite in Italia
e il centro di recupero della Croce Rossa Italiana a Malcesine
Dottor Millo Martini

L’ospedale di Malcesine sul Garda VR è nato nel 1950 con l’acquisizione, da parte della Croce Rossa Italiana, di due splendide ville costruite una all’inizi del’900, villa Staderman e l’altra negli anni ’30 villa Basse, prospicienti il lago di Garda, all’interno di un parco e di un uliveto di 5 ettari.
Il promontorio su cui insistevano i terreni chiudeva un golfo denominato Val di sogno, termine che ben descrive la bellezza del luogo.
La CRI vi trasferiva il centro di recupero per i pazienti con esiti della Poliomielite situato a Val d’ Oltra in Istria, chiuso con la guerra, come sede definitiva dopo un temporaneo cambio di sede a Montalbieri, in provincia di Vicenza, in un albergo prestato dal conte Marzotto.
Lo scopo era quello di dare una sede adeguata al centro di riabilitazione per recuperare al massimo le potenzialità dei piccoli pazienti in modo che essi potessero reinserirsi nella società con il massimo delle potenzialità permesse.

La nascita dell’ospedale fu all’inizio contrastata dalle amministrazioni locali timorose che ospitare persone colpite dalla polio bloccasse il turismo di massa che nasceva allora sul Garda e vista con preoccupazione da una parte della popolazione residente per la paura di contrarre una malattia contro cui non vi era allora alcuna difesa.

La poliomielite, malattia virale epidemica, era all’epoca endemica in Italia, un vero flagello contro cui non era conosciuta una terapia.
Le epidemie si susseguivano provocando mediamente ogni anno 4000 casi di paralisi nei bambini colpiti (con 300 decessi), con picchi di oltre 8000 casi nel 1958 (con più di 1000 decessi).

L’introduzione della vaccinazione nella seconda metà degli anni ‘50, prima su base volontaria, resa poi obbligatoria nel 1963 anno in cui iniziarono le vaccinazioni di massa, portò in tre anni al quasi azzeramento dei casi.
L’ultimo caso di poliomielite da virus selvaggio circolante risale in Italia al 1982.

L’ospedale comunque iniziava la sua attività nel 1950 con 60 posti letto ricavati nelle due ville e con un organico di tre medici e trenta persone di assistenza.
Le fisioterapiste vennero reperite in Austria, la prima scuola ufficiale per fisioterapisti venne infatti istituita in Italia solo nel 1954.

La Croce Rossa Italiana affidava la guida della struttura al professor Tarcisio Marega, allievo prediletto del professor Scaglietti di Firenze, il maggior ortopedico italiano dell’epoca.
Marega non solo era un eccezionale chirurgo ortopedico capace di innovare le tecniche chirurgiche dell’epoca ma aveva un grande spirito imprenditoriale che gli permetteva di vedere lontano.
L’Istituto Chirurgico Ortopedico di Malcesine crebbe velocemente con due nuove ali accorpate alle ville, completate nel 1956 e 1958 fino ad ospitare, nel 1967, 400 pazienti con 214 unita di personale e acquisendo importanza crescente nel campo della chirurgia ortopedica.
Un solo numero non aumentava, quello dei primari e direttori, sempre uno solo, tanto per far capire chi comandava. Indovinate il nome.
I pazienti provenivano allora da gran parte del Trentino, dalle provincie orientali della Lombardia oltre che dal Veneto.
Il centro per il recupero dei pazienti poliomielitici cresceva fino ad una capienza negli anni ‘60 di 120 posti letto.

Altri centri sorgevano in Italia
In Veneto furono l’Ospedale al mare, sul lido di Venezia e l’ospedale di Mezzaselva in provincia di Vicenza.
In Friuli fu creato un centro di recupero presso l’Ospedale marino di Grado. In Emilia il centro fu istituito presso la casa di cura Sol et salus di Rimini.
In Lombardia il grande benefattore dei polio fu don Carlo Gnocchi che creò numerosi centri sulla falsariga di collegi dove i piccoli colpiti dalla polio non solo ricevevano le cure riabilitative ma potevano studiare e avviarsi al lavoro permettendo una più facile integrazione nella società.
Don Gnocchi aprì centri in Emilia, Piemonte, Toscana e anche a Salerno.
Il Lazio si dotò di un grande centro ad Ariccia in provincia di Roma.

Fra tutti questi centri Malcesine fu l’unico a non cessare mai l’attività a favore dei pazienti con esiti di poliomielite mantenendo sempre dei letti dedicati ai pazienti con questa patologia e tenendo quindi viva una tradizione e la conoscenza delle tecniche e dei trattamenti da effettuare.

Marega, nella sua visione dell’organizzazione dell’assistenza e del recupero dei piccoli pazienti con esiti della polio ipotizzava dei centri su base regionale aggregati a centri ortopedici ,della capienza fra i 50 e i 100 posti.
Questo avrebbe permesso di utilizzare servizi già esistenti come sale operatorie e palestre e dava inoltre la possibilità all’ortopedico, che era allora la figura di riferimento per la cura dei poliomielitici, di seguire tutte le fasi del recupero.
Era inoltre possibile rimodulare i posti letto a seconda delle necessita aumentandoli nel corso delle epidemie.
Identificava come altre figure mediche specialistiche necessarie al centro di recupero il neurologo,particolarmente per le diagnosi differenziali fra la polio e altre malattie neurologiche che provocano paralisi flaccide e il pediatra che doveva seguire i bambini facilitando la loro crescita.
Le fisioterapiste erano la figura essenziale per la rieducazione e, data la carenza, vennero istruite da esse altre operatrici in funzione di assistenti e collaboratrici nell’esecuzione dei trattamenti di riabilitazione per il recupero muscolare.

Per ogni gruppo di 15 pazienti erano previste una fisioterapista e due assistenti.
Un medico aveva il coordinamento e la responsabilità di tre gruppi di pazienti.
Grande importanza veniva data ai trattamenti in acqua, mantenuta a 32 gradi per evitare sensazioni di freddo, per la facilitazione che questa permette al movimento.
Gli esercizi di riabilitazione, effettuati in sale apposite con pochi attrezzi ( Marega le descrive come sale vuote volendo privilegiare i trattamenti fatti dai terapisti rispetto a quelli con l’ausilio di macchine per il movimento), erano dosati in modo tale da non affaticare troppo i deboli muscoli dei piccoli pazienti ed erano effettuati sia per gruppi omogenei di persone che studiati per i singoli pazienti a seconda del quadro paralitico che nella poliomielite è variabilissimo da paziente a paziente.
L’obiettivo era di prevenire le deformità che potevano instaurarsi per la prevalenza di alcuni gruppi muscolari risparmiati dalla polio rispetto ai muscoli antagonisti e naturalmente di favorire l recupero dei muscoli che in parte erano stati risparmiati dalla poliomielite.
Un lavoro difficile che richiedeva competenze che si creavano con l’esperienza.

Attenzione particolare veniva data agli esercizi respiratori in pazienti con gravi scoliosi e ridotta capacità respiratoria.
L’ospedale possedeva anche un esemplare del cosiddetto “polmone d’acciaio” una macchina dove veniva posto il paziente; creando una riduzione della pressione dell’aria ambiente facilitava la dilatazione del torace favorendo gli atti respiratori dei pazienti più gravemente colpiti dalla paralisi.

Particolare cura era dedicata a prevenire deformità scheletriche dovute a squilibri muscolari, sia mediante esercizi specifici che con l’utilizzo di tutori che mantenevano gli arti in posizione corretta durante le ore notturne o quando non si effettuava la fisioterapia.
In estate veniva considerata utilissima l’esposizione ai raggi solari sia per migliorare la circolazione cutanea e prevenire i geloni in inverno (era una Italia povera e il riscaldamento nelle case era precario) sia per favorire la crescita ossea e l’ospedale era stato dotato di grandi terrazze per la pratica della cosiddetta elioterapia.

Il trattamento comprendeva anche la fornitura di tutori per stabilizzare gli arti plegici in modo da permettere la deambulazione.
Erano i tecnici della Rizzoli di Bologna a produrre le ortesi studiate in collaborazione col medico ortopedico.
Tutte le forniture venivano provate e collaudate dal paziente in presenza del medico e del tecnico ortopedico durante la cosiddetta “sfilata” del martedì sera. Quasi una sfilata di moda durante la quale il paziente camminava con l’ortesi indossata e si effettuavano le verifiche e apportate eventuali modifiche.

I più frequenti erano i tutori di ginocchio per stabilizzare l’arto inferiore plegico, busti e le calzature ortopediche provviste di opportuni rialzi per compensare le asimmetrie degli arti, rinforzi alla tomaia e plantari modellati sul piede del paziente.

Dove non si poteva ottenere un buon recupero con la riabilitazione e i tutori interveniva la chirurgia.
Gli interventi avevano lo scopo principalmente
– di stabilizzare, bloccandole, articolazioni che non reggevano il peso dei pazienti (frequenti le artrodesi di piede, meno quelle di ginocchio e di spalla),
– di allungare tendini retratti per correggere deformità causate da squilibri muscolari ( allungamenti del tendine d’Achille, dei flessori dell’anca e del ginocchio) o gli allungamenti degli arti più corti in caso di gravi differenze di lunghezza,
– di cambiare l’inserzione tendinea di muscoli residui e recuperati per vicariare la funzione perduta di altri muscoli ( i flessori della gamba venivano distaccati distalmente e fissati anteriormente sulla rotula per sostituire la funzione del quadricipite),
– di correggere l’asse articolare deviato mediante una osteotomia, cioè una frattura provocata ad arte che permettesse la correzione.
Malcesine forniva il ciclo completo dei trattamenti senza bisogno dello spostamento dei pazienti in altre sedi per i trattamenti chirurgici, con la possibilità di controllo costante dei pazienti da parte degli stessi operatori.
La fase di recupero terminava per molti con l’età di inserimento al lavoro, per i più gravi la riabilitazione proseguiva per tutta la vita.

A dirigere il reparto di riabilitazione Marega aveva posto un medico goriziano, Giovanni Komianc che diresse il reparto fino al pensionamento nel 1989. Tutti i poliomielitici passati da Malcesine lo ricordano come un secondo padre per le capacità, la dedizione e l’affetto spesi a loro favore.

Oltre allo scopo sanitario questi ospedali hanno svolto un grande ruolo sociale per questi ragazzi.
I pazienti vi diranno che i periodi di ricovero e cura erano allora molto lunghi e si alternavano brevi periodi a casa con i lunghi periodi in ospedale passati fra interventi chirurgici e l’effettuazione delle cure chinesiterapiche e la prova di tutori.
Era possibile frequentare anche una scuola elementare parificata, all’interno dell’ospedale.
La vita al di fuori dell’orario dei trattamenti e nei giorni di festa poteva assomigliare a quella di un collegio e quindi erano importanti i rapporti interpersonali che si creavano.
Qui i giovani si sono scambiati informazioni ed esperienze.
Qui è nata in loro la consapevolezza della possibilità di una vita “normale”e di inserimento nel mondo del lavoro.
Qui sono nate le associazioni attraverso le quali hanno potuto reclamare i propri diritti nella società.
Qui molti hanno vissuto i loro primi amori acquistando la consapevolezza di poter crearsi una famiglia e vivere una vita piena.

Per questo restano legati a questi luoghi che hanno significato per loro sofferenza ma anche volontà di uscire dalla condizione di malato e vivere pienamente.
Molti, terminata la fase di recupero verso i 20 anni, si sono dimenticati della malattia.
Molti oggi hanno però nuovamente la necessità di cure riabilitative perché chi parte da una condizione di debolezza fisica soffre maggiormente dei problemi di riduzione della autonomia correlata all’invecchiamento.
In molte di queste persone si assiste inoltre ad una veloce riduzione della forza e resistenza muscolare accompagnata spesso a senso di stanchezza presente anche a riposo e da dolori muscolari ed articolari chiamata” sindrome post poliomielitica” con riduzione delle capacità fisiche e non correlabile ad un normale invecchiamento.
Oggi si stimano in 50-60 mila le persone in Italia che portano gli esiti paralitici più o meno gravi dovuti alla poliomielite.
La malattia grazie alla eradicazione dovuta alla vaccinazione è oggi poco o per nulla conosciuta in Italia e sono dimenticati anche i superstiti che però oggi hanno ancor più bisogno di assistenza per mantenere il più a lungo possibile il miglior grado di autonomia consentita dalla loro condizione.
Ringraziando il Rotary per l’azione forte e mai interrotta per l’eradicazione nel mondo della poliomielite lo invito a prendere in considerazione la situazione dei superstiti e a tenere desta l’attenzione dell’opinione pubblica sui bisogni di queste persone.
Invito per l’ennesima volta, pur sapendo di rimanere per l’ennesima volta inascoltato, i poliomielitici italiani a creare una superassociazione, che potrebbe essere formata dai presidenti delle decine di associazioni in cui sono dispersi e che potrebbe nominare un rappresentante unico che forte delle tessere di migliaia di associati avrebbe un grande peso per condizionare l’attenzione e decisioni a favore di una migliore assistenza alla categoria da parte dei politici.
In caso diverso continuerete a contare pochissimo e dovrete accontentarvi delle tante belle parole ( ma con quali risultati ?) che avete ottenuto sino ad ora.

Recent Posts

Leave a Comment